|
La
pietra è lanima profonda di Comiso, dura, quasi
eterna, difficile da intagliare, da scolpire e plasmare
per renderla opera preziosa. La pietra ha fatto la storia di Comiso. Le abili
maestranze di scalpellini, incisori, falegnami, scultori
e ferraiuoli formavano la loro arte nelle cave che
cingono la parte alta della città. Nel sangue di questi
maestri locali scorre la fantasia dellincisione che
da secoli si tramanda e viene riconosciuta nel mondo per
il gusto della decorazione e le sue insigni testimonianze
finite.
Le cave venivano sfruttate dai tempi più remoti
e ad esse e al loro calcare hanno fatto cenno diversi
storici, nelle loro citazioni. Sono di origine araba i
forni per la cottura delle pietre, da cui si ricava la
"calce spenta".
Le architravi e le chiavi darco che sono
state realizzate in stile Liberty fra la prima e la
seconda guerra mondiale sono pietre lavorate che
ritraggono composizioni floreali, teste femminili in
stile neoclassico, motivi gentili che si trovano sparsi
in mille angoli del centro storico.
Questa arte si è affermata con prepotenza negli
anni Venti. In quellepoca molti scalpellini e
scultori raffinarono il loro patrimonio genetico
nellistituto darte che ancora oggi forma
novelli artisti e che nel passato ha portato alla luce
geni come Salvatore Fiume.
Gli intagliatori e gli scultori di Comiso
esportarono i loro segreti artigianali in tutta
lisola, per questo le pietre scolpite e i prospetti
delle chiese di tanti luoghi di Sicilia, riportano la
traccia della loro abilità . Anche la scalinata del bel
Municipio di Noto, venne rifatta da uno scalpellino
locale che sostituì il calcare con la pietra dura e
perlata di Comiso. Lanima della pietra esiste in
ogni centimetro della città, nei portali, nei camini,
negli stipiti, nelle case e nelle grandi scalinate.
Questa tradizione ultrasecolare è delineata in
un ricordo degli antichi mestieri, del grande Bufalino.
Per lui "U Pirriaturi", era colui che
"Dalle cave pedemontane, famose nellisola,
estraeva bianchissime moli di pietra, servendosi di cunei
di legno inzuppati dacqua, che, dilatandosi,
allargavano gli spacchi del piccone e provocavano lo
scorrimento delle lastre sui sottostanti strati di
argilla."
"Solo allora ",
scriveva Bufalino, "si toglieva
dal capo il fazzoletto sudato, legato a cocche, e sedeva
a fumare sotto un albero, fra un frinire di cicale. Il
suo giorno di gloria fu quando da Palermo ordinarono due
blocchi smisurati per scolpirvi i leoni del teatro
Massimo: precedendo un faraonico marchingegno di corde e
di rulli. trainato da dieci cavalli, egli passò per le
vie del paese, fra due ali di popolo, come un santo sulla
vara. E si aprirono tutte le finestre".
|